IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso n. 810/94 proposto dai signori rag. Amedeo Calcarami e avv. Aniello Rizzo, rappresentati e difesi dall'avv. Gaetano Lepore presso il quale son elettivamente domiciliati in Roma, via Cassiodoro n. 14; contro l'Istituto nazionale di previdenza per i dirigenti di azienda industriali - I.N.P.D.A.I., in persona del legale rappresentante pro-tempore rappresentato e difeso dall'Avvocatura dell'ente avv. Luciano Di Pasquale e Mario Capaccioli, elettivamente domiciliato in Roma, viale delle Province n. 196; e il Ministero del lavoro e della previdenza sociale, in persona del Ministro pro-tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato in Roma, via dei Portoghesi n. 12; con l'intervento ad adiuvandum dei sigg. Maria Chiara Bartalini ed altri (Marcello Vani, Edoardo Carmignani, Mirella Mestichella, Adriana Ripoli, Marianna Viola, Maria Piccinni, Daniela Nardi, Cesare Tabacco, Claudio Martinoli, Bruno Giampa, Alessandro Furlani, Rosa Ansuinelli, A. Maria Gargiulo, Giulio Ercolani, Patrizia Farinelli, Fiorella Galli, M. Teresa Olivari, Lina Baldasarre, Alba Sabetta, Domenica Castelli, Giordana Laurenti, Angela Angeli, Giulina Cilenti, Francesco Montella, Angela Sorino, Riccardo Brardinoni, Giuseppina Tirrito, Clara Rondinelli, Rosanna Mancurti, Cinzia Bensaja, Silvana Rossi, Venera Maiorana, Marisa Iacopino, Fabrizio Cadamuro, Biagio Galluzzo, Stefania Grella, Flavia Marino, Salvatore Ragusa, Carlo Molaro, Simonetta Bruno, Liliana Spada, Fabio Savoi, Camillo Esposito, Giancarlo Esuperanzi, Mario Del Tredici, Carlo Raiata, Marcello Mazzilli, Claudio Candido, Elio Iaccino, Roberto Centi, Gualtiero Sale, Gianfranco Rossi, Catia Giaccaglini, Pierluca Nanni, Cinzia Gentili, Laura Bettini, Luciano S. della Marra, Stefano Albrizio, Maurizio Pinaglia, Alberto Della Giovampaola, Stefano Amorese, Ettore Morgia, Adriano Boschi, G. Paolo Ottavi, Mario Russino, G. Paolo Biagini, Giancarlo Gengaroli, Maria Grazia Rechichi, Luciana Di Carlo, Palmira Taddei, Vincenzo Lucci, Alessandra Tabbi, Annalisa Terzi, Carla Pancrazi, Anna Maria Fanelli, Claudia Lucci, Daniela Mazzacori, Palmira Mecenate, Bruno Bruna, Augusta Coletta, Simona Gallo, Letizia Mirabile, Paola Borrelli, Daniela De Sanctis, Giuseppina Manca, Ada Zippi, Luciana Linari, Maria Olivieri, Marina Trasi, Marina Stampanoni, Claudio Barpiero, Ester Cressa, Daniela Finotti, Stefania Ciofi, Valter Villani, Anna Giuliattini, Daniela Rosci, Alfredo Pulizo, Fabio Ilardi, Gianpaolo Biagini, Bruno Bini, Barbara Manzi, Francesca Cagnali, M. Rita Bellabarba, Mario Santoro, Natale Scaturchio, Domenico Bavetta, Elisabetta Maria Garan, Antonio Pietropaoli, Michele Aquili, Enzo Altieri, Lorenzo Ferrari, Antonia Pelella, Paola Tadioli, Gino Coia, Maria Teresa Leoni, Fabrizio Lucchetta, Antonella Cesaretti, Patrizia Conidi, Francesco D'Addio, Marcello Tucci, Annamaria Campovecchi, Paola Pace, Marisa Montanari, Marisa Corsetti, Maria Luigia Gasparella, Aurora Coppola, Maria Venturini, M. Teresa Salvati, Matilde Anastasi, Mirella Graziani, Paola D'Aguanno, Antonietta Montebello, Giusto Ginotti, Rosa Viscuso, Antonietta Robustelli, Filippo Brunelli, Anna M. Donati, Gabriella Camacci, Alessandro Pulcini, Anna Maria Ciaralli, Antonella Ferrante, Carlo Zuccani, Gustavo Martinelli, Manuela Consolini, Anna Pia Avancini, Elisabetta Defenu, Carla Turco, Leda Quirini, Rita Di Braccio, Franca Saliva, Marinella Preciuti, Monica Nepi, Elena Severino, Andreina Leli, Donatella De' Liguoro, Alberto Felicetti, Nunzio Izzo, Gianfranco Barbaria, Vincenzo Vecchioni, Francesco Rosci, Fedora Mari, Carla Bartoccini, Maria G. Noviello, M. Rita Fontana, Marcella Biscarini, M. Pia Cascino, Laura Moriniello, Rosanna De Luca, Carmine Piccinni, Anna Rita Carroccia, Roberta Alcisi, Antonella Montani, Annalisa Virgilio, Patrizia Palmiotti, Andrea Danza, Walter Rossi, Rita Certel, Marialuisa Duchi, Patrizia Giaccaro, Anna Zoconeddu, Rossana Damizia, Maria Mura, Paola Verri, Germana Vecchiarelli, Alessandro Incitti, Eleonora Lena, Adalberto Paparoni, Stefania Venditti, Paola Radion, Stefano Gucciardo, Laura Regazzini, Nicoletta Zocca, Franca Colasanti, Daniela Rettagliati, Maria Pia Casamassima, Alberto Piperno, Maurizio La Volpe, Simonetta Bruno, M. Rosaria Federici, Giorgio Roscigno, Antonio Palmentieri, Monica Donzelli, Silvana Cipriani, Lucia Ciccariello, M. Grazia Di Nino, Patrizia Acqualagna, Claudio Filippi, Carla De Santis, Angela Avolio, Stefania Vinciguerra, Laura Moscardi, Laura Conti, Margherita Chichi, Maria Barresi, Daniela Morelli, Linda Reda, Giustina Cervone, Antonella Castellani, Caterina Manni, Franca Zinicola, Donatella Giannangeli, Carlo Giamomini, Rita Paolucci, Anna Maria Danti, Anna Lama, Paola Pianeselli, Livia Piergiovanni, Angelo Angelino, Massimo Mazzanti, Mauro Scernato, Livia Napolitano, Simonetta Pini, Bruno Paella, Giorgia Catola, Danilo Russolillo, Enrica Chiucchi, Paola Trio, Nicoletta Mariani, Giuseppe Crucitti, Alba Simotti, Caterina Lamarra, Antonino Saccone, Agata Panebianco, Luigi Palazzini, Carla Esposito, Silvia Fenocchio, Marco Ciavatta, Annamaria Ciani, Riccardo Scalero, Argentina Giachetti, Pietro Rivellini, Claudia Taccia, Amalia Leddi, Donatella Antonelli, Fabiana Romei, Alessandra Pepoli, Anna Lanza, Lucia Grifoni, Patrizia Vaccaro, Patrizia Brunetti, Enzo Pacifici, Mirella Bolla, Maura Felici, Marina Petrini, Daniela Parlatore, Alberta Spiccia (illeggibile), Cristina Barbaliscia, Salvatore Santo Girlando, Nadia Antonini, Michela Marturano) nelle qualita' di elettori dei ricorrenti nel consiglio di amministrazine dell'I.N.P.D.A.I., rappresentati e difesi dall'avv. Dino Dei Rossi, elettivamente domiciliati in Roma, via Giuseppe Gioachino Belli n. 36; per l'annullamento del decreto del 14 dicembre 1993 con il quale il Ministro del lavoro "viste le disposizioni dell'art. 16 del d.lgs. 10 novembre 1993 n. 470 .." ha disposto, con effetto dalla data di entrata in vigore del predetto decreto legislativo, che del consiglio di amministrazione dell'INPDAI ricostituito con decreto ministeriale 16 novembre 1993, non facciano piu' parte in rappresentanza del personale il sig. Amedeo Calcarami e l'avv. Aniello Izzo e di ogni altro atto presupposto connesso e consequenziale ed in particolare della nota n. 1/3PS/22848/16/I/II del 17 dicembre 1993; Visto il ricorso con i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio dell'amministrazione intimata; Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese; Relatore alla pubblica udienza del 15 giugno 1994 il consigliere Francesco Brandileone; uditi l'avv. . . . . . . . . . . per il ricorrente e l'avv. dello Stato . . . . . . . . . . . . . per l'amministrazione resistente; Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue. F A T T O Con il ricorso in esame i nominati in epigrafe impugnano il decreto del 14 dicembre 1993 con il quale il Ministro del lavoro "viste le disposizioni dell'art. 16 del d.lgs. 10 novembre 1993, n. 470 .." ha disposto, con effetto dalla data di entrata in vigore del predetto decreto legislativo, che del consiglio di amministrazione dell'INPDAI ricostituito con decreto ministeriale 16 novembre 1993, non facciano piu' parte in rappresentanza del personale il sig. Amedeo Calcarami e l'avv. Aniello Izzo. Deducono i seguenti motivi: I. - Violazione dell'art. 16 del decreto legislativo 10 novembre 1993, n. 470, modificativo dell'art. 48 del decreto legislativo n. 29/1993. Il d.m. 14 dicembre 1993 e' stato assunto in violazione o falsa applicazione dell'art. 16 del d.lgs.n. 470/93 - modificativo dell'art. 48 del d.lgs. n. 29/1993 ed entrato in vigore il 9 dicembre 1993 - in quanto ha dichiarato i due ricorrenti decaduti dallo status di consiglieri di amministrazione, mentre l'effetto abrogativo voluto dalla norma del decreto delegato deve ritenersi - pena l'illegittimita' costituzionale della norma medesima - differita al momento in cui la contrattazione collettiva avra' concretamente introdotto (nuove) "forme e procedure di partecipazione che sostituiranno commissioni del personale ed organismi di gestione comunque denominati". II. - In linea subordinata illegittimita' costituzionale dello stesso per contrasto con l'art. 76 della Costituzione. In ogni caso l'impugnato d.m. 4 dicembre 1993 e' illegittimo in via derivata a causa dell'illegittimita' costituzionale, per contrasto con l'art. 76 della Costituzione, dell'art. 48 del d.lgs. n. 29/1993, come novellato dall'art. 16 del d.lgs. n. 470/1993. Ed infatti il Governo, nell'emanare la norma de qua, ha certamente ecceduto i limiti della delega ad esso conferita dall'art. 2, comma 1, lettera a), che lo autorizzava soltanto a "prevedere nuove forme di partecipazione delle rappresentanze del personale ai fini dell'organizzazione del lavoro delle amministrazioni" e non anche ad incidere sulle norme che prevedono la partecipazione delle rappresentanze del personale in seno agli organi deliberanti degli enti, partecipazione che realizza una forma di controllo - interno e preventivo - in senso lato, delle decisioni adottande da parte dei massimi organi direttivi. III. - In linea subordinata illegittimita' costituzionale dello stesso per contrasto con gli artt. 3 e 97 della Costituzione. Ulteriore profilo di illegittimita' costituzionale e' rilevabile dal comma 1-bis dell'art. 48 del d.lgs. n. 29/1993, nel testo novellato dall'art. 16 del d.lgs. n. 470/1993, introdotto per effetto del d.-l. n. 530/1993 (in Gazzetta Ufficiale s.g. n. 299 del 22 dicembre ed entrato in vigore il giorno successivo). Ed infatti il secondo periodo di tale comma pone una norma transitoria di salvaguardia limitandola, in palese spregio del principio di ragionevolezza e di eguaglianza ed in violazione dell'art. 79 della Costituzione, all'ambito delle rappresentanze del personale nei consiglio di amministrazione dell'universita'. Si costituisce in giudizio l'amministrazione resistente che nel controdedurre alle censure di gravame chiede la reiezione del ricorso. D I R I T T O 1. - Con il ricorso in esame parte ricorrente pone due distinte questioni in ordine all'art. 16 del d.lgs. 10 novembre 1993, n. 470, modificativo dell'art. 48 del d.lgs. n. 29/1993: l'una concernente la inapplicabilita' di tale norma delegata agli organi statutari dell'INPDAI nella parte riguardante la cessazione dell'efficacia delle rappresentanze del personale nel consiglio di amministrazione; l'altra riguardante l'illegittimita' in via derivata dell'impugnato d.m. 4 dicembre 1993 a causa dell'illegittimita' costituzionale, per contrasto con l'art. 76 della Costituzione, dell'art. 48 del d.lgs. n. 29/1993, come novellato dall'art. 16 del d.lgs. n. 470/1993, dato che il Governo, nell'emanare la norma de qua, avrebbe certamente ecceduto i limiti della delega ad esso conferita dall'art. 2, comma 1, lettera a), che lo autorizzava soltanto a "prevedere nuove forme di partecipazione delle rappresentanze del personale ai fini dell'organizzazione del lavoro delle amministrazioni" e non anche ad: a) incidere sulle norme che prevedono la partecipazione delle rappresentanze del personale in seno agli organi deliberanti degli enti pubblici, legiferando in materia (consigli di amministrazione degli enti pubblici) non contemplata nella legge di delega; b) sopprimere il preesistente regime di rappresentanza del personale senza la coeva sostituzione con forme di partecipazione del personale ai fini dell'organizzazione del lavoro, in sostituzione di quelle precedenti. 2. - La prima questione e' stata decisa dal collegio con separata sentenza, che al riguardo ha rilevato che la richiesta di parte ricorrente non puo', allo stato della legislazione, essere accolta data l'applicabilita' alla specie dell'art. 48 del d.lgs. n. 29/1993, come novellato dall'art. 16 del d.lgs. n. 470/1993, mentre la seconda forma oggetto della presente ordinanza. 3. - Si appalesa rilevante quindi la questione cd. costituzionalita' dell'art. 16 del d.lgs. 10 novembre 1993, n. 470, modificativo dell'art. 48 del d.lgs. n. 29/1993, per contrasto con l'art. 76 della Costituzione, dato che l'impugnato d.m. 4 dicembre 1993 e' stato adottato in attuazione di tale norma delegata. Ed invero non puo' dubitarsi della rilevanza della questione giacche' solo nell'ipotesi di un'eventuale pronuncia della Corte costituzionale dichiarativa dell'illegittimita' costituzionale della censurata norma, l'atto applicativo impugnato potrebbe essere annullato per illegittimita' derivata e la domanda accolta. 4. - Ritiene opportuno il collegio evidenziare il quadro normativo entro cui si muove la censurata norma delegata (art. 48) per affrontare ed esaminare la dedotta questione di costituzionalita' dell'art. 16 del d.lgs. 10 novembre 1993, n. 470, modificativo dell'art. 48 del d.lgs. n. 29/1993. 5. - Con legge 23 ottobre 1992, n. 421 il Governo e' stato delegato ad emanare uno o piu' decreti legislativi nel settore del pubblico impiego diretti al contenimento della spesa, al miglioramento dell'efficienza ed alla riorganizzazione, fissando i criteri e finalita' ben precise. L'art. 2, primo comma, lett. a), indirizza l'azione legislativa del Governo alla privatizzazione del rapporto di lavoro dei dipendenti delle amministrazioni statali e degli altri enti pubblici e alla previsione di "nuove forme di partecipazione delle rappresentanze del personale ai fini dell'organizzazione del lavoro nelle amministrazioni". Con l'art. 48 del d.lgs. n. 29 del 3 febbraio 1993, in attuazione del principio fissato nella seconda parte dell'art. 2, primo comma, lett. a), della legge 23 ottobre 1992, n. 421, il Governo nel precisare che la contrattazione collettiva definisce nuove forme di partecipazione delle rappresentanze del personale ai fini della organizzazione del lavoro nelle amministrazioni pubbliche, ha abrogato le norme che prevedono la rappresentanza elettiva del personale nei consigli di amministrazione delle amministrazioni statali anche ad ordinamento autonomo. Con l'art. 16 del d.lgs. 10 novembre 1993, n. 470, l'art. 48 del d.lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, e' stato modificato, disponendosi l'abrogazione delle norme che prevedono forme di rappresentanza anche elettiva del personale nei consigli di amministrazione di tutte le amministrazioni pubbliche indicate al secondo comma dell'art. 1 del decreto legislativo n. 29/1993 e che, in attuazione dell'art. 2, primo comma, lett. a), della legge 23 ottobre 1992, n. 421, la contrattazione collettiva definisca nuove forme di partecipazione delle rappresentanze del personale ai fini dell'organizzazione del lavoro. L'ultima parte dell'art. 48, modificato, precisa che la contrattazione collettiva nazionale indichera' forme e procedure di partecipazione che sostituiranno commissioni del personale e organismi di gestione, comunque denominati. Se si esamina la fonte delegante e cioe' il punto a) del primo comma dell'art. 2 della legge n. 421 del 23 ottobre 1992 si realizza che il Governo, oltre a dover privatizzare il rapporto di lavoro dei pubblici dipendenti, prevedendo una disciplina transitoria, idonea ad assicurare la graduale sostituzione del regime attualmente in vigore nel settore pubblico con quello privatistico, deve prevedere "nuove forme di partecipazione delle rappresentanze del personale ai fini dell'organizzazione del lavoro". La norma contenuta nell'art. 48, come modificato dall'art. 16 del decreto legislativo n. 470/1993, e' stata emanata allo scopo dichiarato di dare attuazione al principio e criterio direttivo fissato dalla lett. a) dell'art. 2, comma 1, della legge n. 421/1992. Orbene, l'art. 48, come modificato, stabilisce che la contrattazione collettiva nazionale definisce nuove forme di partecipazione delle "rappresentanze del personale ai fini della organizzazione del lavoro ..". La terza parte dell'art. 48 stabilisce che "la contrattazione collettiva nazionale indichera' forme e procedure di partecipazione che sostituiranno commissioni del personale e organismi di gestione, comunque denominati". Le due disposizioni sono programmatiche, nulla, allo stato, innovando in materia. Il secondo periodo dell'art. 48, invece, dispone l'abrogazione delle "norme che prevedono ogni forma di rappresentanza, anche elettiva, del personale nei consigli di amministrazione, nonche' nelle commissioni di concorso". 5. - Tale ultima disposizione e' decisamente fuori dall'ambito della delega legislativa e del principio direttivo fissato dalla lett. a) del comma 1 dell'art. 2 della legge n. 421 del 23 ottobre 1992. Infatti la legge delega il Governo a perseguire tre obiettivi: I) la privatizzazione del rapporto di impiego dei dipendenti pubblici con riconduzione sotto la disciplina del diritto civile e con regolamentazione mediante contratti individuali e collettivi; II) la sostituzione graduale del regime attualmente in vigore nel settore pubblico a quello privatistico; III) l'introduzione di nuove forme di partecipazione delle rappresentanze del personale ai fini dell'organizzazione del lavoro nelle amministrazioni. E' di tutta evidenza che il legislatore delegato nell'abrogare le norme che prevedono rappresentanze del personale nei consigli di amministrazione degli enti pubblici ha ecceduto dalla delega sotto due profili. 5.1. - In primo luogo perche' la cosiddetta rappresentanza del personale nei consigli di amministrazione e' fattispecie completamente diversa da quella prevista dalla legge delega, cioe' dalla partecipazione delle "rappresentanze del personale ai fini dell'organizzazione del lavoro ..". Certamente non puo' parlarsi di rappresentanza del personale ai fini dell'organizzazione del lavoro per quanto riguarda i componenti dei consigli di ammnistrazione degli enti pubblici, designati elettivamente o meno dal personale, essendo i consigli di amministrazione organi di gestione generale dell'ente e non organismi con competenza limitata alla materia della organizzazione del lavoro. La rappresentanza del personale nei consigli di amministrazione degli enti pubblici, infatti, a differenza di quelle nel settore delle amministrazioni dello Stato afferisce al fenomeno organizzatorio statutario ed istituzionale dell'ente medesimo (detto organo collegiale, infatti, e' tipicamente organo di governo dell'ente in quanto esercita tutti i poteri di gestione, determinando le direttive tecniche, approvando i bilanci, il regolamento organico del personale, il regolamento amministrativo-contabile, il piano annuale degli impieghi delle somme eccedenti la liquidita', di gestione, l'acquisto di beni immobili ecc.); tale rappresentanza non e' pertanto prevista ne' finalizzata "ai fini dell'organizzazione del lavoro" dell'ente pubblico stesso ma esclusivamente in funzione di controllo in senso lato quale componente di minoranza, espressiva del principio, insito nel nostro ordinamento, della ponderazione della molteplicita' degli interessi sia essi primari che secondari nell'esplicazione dell'attivita' istituzionale. Il legislatore delegante se avesse voluto autorizzare il Governo ad eliminare le norme organizzatorie istituzionali degli enti pubblici che prevedono tale forma di partecipazione in funzione di controllo non avrebbe usato l'espressione, contenuta nel criterio direttivo e delimitativo del potere normativo delegato nuove forme di "partecipazione del personale ai fini della organizzazione del lavoro"; il che sta ad indicare in maniera inequivoca la delimitazione dell'ambito dell'intervento del Governo esclusivamente a quegli organismi aventi competenza limitata alla organizzazione del lavoro cioe' a quella materia che nel rapporto di lavoro privato e' oggetto di contrattazione nazionale, di settore ed aziendale. 5.2. - In secondo luogo perche', anche ammesso che nell'istituto della partecipazione del personale ai fini dell'organizzazione del lavoro possa ricomprendersi anche la rappresentanza del personale nei consigli di amministrazione, il Governo era autorizzato a prevedere nuove forme, in sostituzione di quelle precedenti e certamente non ad abrogare sic et simpliciter la normativa in vigore, con rinvio alla contrattazione collettiva. E' fuor di luogo, infatti, che, per principi e statuizioni costituzionali (art. 76), l'esercizio del potere legislativo da parte del Governo mediante la decretazione legislativa deve muoversi a svilupparsi entro i limiti ed in conformita' dei criteri direttivi stabiliti, con la legge di delega, dal Parlamento, al quale compete in via naturale la produzione normativa primaria. Con la legge di delega, in sotanza, ha luogo il conferimento - per un periodo di tempo limitato e con riferimento ad una materia legislativamente delimitata e circoscritta dai criteri direttivi di delega - al Governo da parte del Parlamento della potesta' legislativa primaria. La legge di delega, in sostanza, costituisce l'investitura dello spostamento, sia pur temporaneo e per materia circoscritta, della potesta' legislativa dall'organo naturale (Parlamento) all'organo eccezionale (Governo). Quale atto di investitura ad altro organo dell'esecizio del potere legislativo, la legge di delega, non puo' non conferire se non in via espressa, circostanziata e delimitata detto potere normativo: potere che deve espressamente e letteralmente ricavarsi dall'atto delegante, non potendo concepirsi, per il principio costituzionale della divisione dei poteri degli organi costituzionali cosi' come disciplinato dalla Costituzione, l'evenienza di poteri c.d. impliciti di delega, cioe' sottostanti l'atto delegante, non espressamente enunciati e conferiti nell'atto di delega ma desumibili in via di interpretazione sistematica dall'ordinamento giuridico. Se cosi' fosse si protrebbe verificare l'evenienza di una delega a contenuto indeterminato, che comporterebbe l'esautorazione del Parlamento, impossibilitato a valutare il grado e la portata della delega legislativa da esso stesso conferita all'esecutivo. Da cio' consegue che se e' forse ammissibile e costituzionalmente corretto concepire nell'ambito del potere normativo delegato al Governo la possibilita' dell'esercizio di "poteri strumentali impliciti" nella delega, finalizzati alla realizzazione del potere normativo di base delegato al Governo (ed es. nell'ipotesi di delega alla soppressione con decreto delegato di enti pubblici, il potere soppressorio dell'ente pubblico presuppone per la sua realizzazione anche il potere "strumentale" di dettare la disciplina liquidatoria delle attivita' e passivita' dell'ente), una tale evenienza deve necessariamente escludersi nell'ipotesi in cui il potere implicito, desumibile in via interpretativa, assurga a rango di autonomo e distinto potere normativo delegato non strumentale rispetto a quello conferito dal Parlamento al Governo, a cio' ostando il disposto di cui all'art. 76 della Costituzione. Da cio' consegue che al Governo, con la delega di cui all'art. 2, primo comma, lett. a), della legge n. 421 del 23 ottobre 1992 e' stato attribuito il potere di prevedere nuove forme, in sostituzione di quelle precedenti di partecipazione del personale ai fini dell'organizzazione del lavoro e certamente non ad abrogare sic et simpliciter la normativa in vigore, con rinvio alla contrattazione collettiva. In sostanza la legge delegata non poteva limitarsi alla sola abrogazione immediata delle norme in materia, dato che il potere soppressorio e' concepibile solamente come strumentale e conseguente al potere normativo delegato di base, consistente nell'istituzione di nuove forme di rappresentanza del personale ai fini dell'organizzazione del lavoro. D'altra parte il potere delegato di prevedere nuove forme di partecipazione del personale ai fini dell'orgazizzazione del lavoro, implica senz'alcun dubbio la possibilita' dell'esercizio anche del potere strumentale soppressorio delle vecchie e preesistenti forme di partecipazione del personale ma secondo uno schema di conseguenzialita' necessaria e contestuale nel senso che il potere delegato di previsione di nuove rappresentanze del personale implica ex se' il contestuale esercizio del potere soppressorio delle vecchie rappresentanze in sostituzione delle nuove; ma allorquando come nella specie la norma delegata (art. 48) provvede recta via alla immediata soppressione delle vecchie rappresentanze senza la previsione od istituzione delle nuove forme di rappresentanza per effetto del rinvio alla contrattazione collettiva, il potere soppressorio assurge a rango di autonomo, distinto e diverso potere ripetto a quello delegato dal Parlamento al Governo e ci si trova di fronte alla violazione del precetto contenuto nell'art. 76 della Costituzione. Il legislatore delegato, nell'autorizzare il Govemo a prevedere nuove forme di partecipazione, ha richiesto l'emanazione da parte del Governo di norme che, abrogando le previgenti, prevedessero contestualmente nuove forme di partecipazione. Il Governo, invece, ha abrogato le norme sulla rappresentanza del personale ed ha demandato alla contrattazione collettiva la nuova disciplina della partecipazione del personale ai fini dell'organizzazione del lavoro. La verita' e' che l'art. 16 del decreto n. 470 del 1993 ha introdotto una disposizione abrogativa di norme disciplinanti la materia della rappresentanza del personale, senza neanche condizionare l'effetto abrogante alla futura nuova normativa di carattere collettivo. Il legislatore delegato, quindi, mentre si e' conformato al criterio fissato dal legislatore delegante, lasciando in essere le commissioni del personale e rimettendo alla contrattazione collettiva la loro sostituzione con nuove forme e procedure di partecipazione del personale all'organizzazione del lavoro, ha invece, senza averne il potere, travalicando l'ambito della delega, abrogato con effetto immediato, senza peraltro dettare alcuna norma transitoria, le disposizioni legislative e regolamentari, che prevedono forme di rappresentanze del personale nei consigli di amministrazione. Conseguentemente la disposizione contenuta nell'art. 48 del decreto n. 29, come modificato dall'art. 16 del decreto n. 470, appare inficiata di illegittimita' costituzionale per violazione dell'art. 76 della Costituzione nella parte in cui, in presunta attuazione del principio fissato nella lett. a) del comma 1 dell'art. 2 della legge n. 421 del 1992, ha disposto l'abrogazione delle norme che prevedono ogni forma di rappresentanza anche elettiva del personale nei consigli di amministrazione delle amministrazioni pubbliche di cui all'art. 1, comma 2, dello stesso decreto n. 29/1993. 6. - L'Avvocatura dello Stato, traendo spunto dai pareri espressi dal Consiglio di Stato (pareri del Consiglio di Stato n. 645.15631/1993 e 70/1993 divulgati dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri con circolare 26958/1994 del 26 gennaio 1994) controdeduce che il potere delegato sarebbe stato legittimamente esercitato in quanto: a) l'art. 2 della legge n. 421/1992 pone come principio e criterio direttivo la separazione tra organizzazione degli uffici ed organi della p.a. e disciplina del rapporto, compresa l'organizzazione del lavoro, demandando la prima alla legge e la seconda alla contrattazione collettiva; b) con l'abrogazione delle norme sulla rappresentanza elettiva del personale nei consigli di amministrazione il legislatore delegato avrebbe dato attuazione al principio di separazione fra organizzazione dei pubblici uffici e disciplina del rapporto di lavoro, interpretato anche come principio che pone il divieto della cogestione della p.a. L'iter argomentativo sintetizzato alle lettere a) e b) non appaiono convincenti. Si deve in primo luogo rilevare che l'art. 48 del decreto legislativo n. 29/1993, come si legge nella sua prima proposizione, e' posto in essere "in attuazione dell'art. 2, comma 1, lett. a), della legge 23 ottobre 1992, n. 421". Anche se al limite puo' convenirsi che l'art. 2 della legge n. 421/1992 nel suo complesso fissi il principio di distinzione fra disciplina per legge o in base alla legge dell'organizzazione degli uffici e disciplina privatistica del rapporto di lavoro e dell'organizzazione del lavoro, non si vede come da tale distinzione si possa far discendere il principio della separazione tra organi della p.a. e rappresentanze del personale e quindi del divieto di cogestione della p.a. E' incontestabile che l'art. 48 del decreto n. 29/1993 e' stato emanato per dare attuazione al criterio fissato dalla lett. a) del primo comma dell'art. 2 che attiene esclusivamente alla privatizzazione del rapporto di lavoro dei pubblici dipendenti. Conseguentemente il criterio direttivo per il legislatore delegato deve trarsi solo dalla lett. a) del comma 1 e non anche dalla lett. b) e dalla lett. c) del comma 1. D'altra parte l'affermazione secondo la quale con l'abrogazione delle norme sulla rappresentanza elettiva del personale nei consigli di amministrazione il legislatore delegato avrebbe dato attuazione al principio di separazione fra organizzazione dei pubblici uffici e disciplina del rapporto di lavoro, interpretato anche come principio che pone il divieto della cogestione della p.a., non appare convincente, non soltanto perche' il divieto di cogestione della p.a. non e' contenuto nel criterio direttivo specifico, ma anche per il fatto che l'abrogazione di norme di legge ad opera del legislatore delegato deve trovare precisa e puntuale legittimazione nel criterio direttivo della legge di delega. Orbene la lett. a) dell'art. 2 della legge non contiene una disposizione che legittimi il Governo ad abrogare le norme sulla rappresentanza del personale nei consigli di amministrazione. Ne' tale legittimazione puo' farsi discendere dal principo organizzativo in precedenza indicato, non essendo tale principio posto dalla lett. a) del primo comma dell'art. 2 della legge delegante. D'altra parte il principio concernente la eliminazione della cogestione e' enucleato dall'amministrazione resistente non tanto dalla legge di delega ma dallo stesso art. 48 ed in ogni caso da una constatazione inininfluente e cioe' dalla distinzione fra organizzazione dei pubblici uffici e disciplina del rapporto di lavoro. Tale distinzione, che peraltro esiste anche nel vigente ordinamento, dovendo l'intero disegno di privatizzazione essere ancora attuato non ha quella portata innovativa che invece gli si attribuisce ed in ogni caso non comporta automaticamente la separazione fra organi della p.a. e rappresentanze del personale ne' tantomeno autorizza la abrogazione di norme di legge o di regolamento che prevedono la rappresentanza elettiva del personale nei consigli di amministrazione. Ne' il principio di separazione e quindi di divieto di commissione fra interesse della p.a. e del personale dipendente costituisce la ratio della legge delega, che, come e' noto, invece si e' limitata a fissare il principio della separazione nell'ambito dell'organizzazione dei pubblici poteri fra attivita' di indirizzo politico-amministrativo e l'attivita' di gestione amministrativa, che ben puo', coesistere con la partecipazione di rappresentanze del personale negli organi di indirizzo politico-amministrativo. Ne' infine puo sostenersi, per quanto in precedenza evidenziato, che l'abrogazione delle norme sulla rappresentanza elettiva nei consigli di amministrazione, disposta dal Govemo potrebbe considersarsi esplicazione attuativa del principio "implicito" della separazione fra organi della p.a. e rapporto di lavoro, scaturente dal contesto intepretativo della legge di delega, dato che un siffatto opinamento comporterebbe un vero e proprio svuotamento dell'art. 76 della Costituzione secondo quanto gia' affrontato al punto 5.2. D'altra parte la stessa Avvocatura dello Stato ritiene che non e' piu' consentita alcuna forma di partecipazione del personale, desumendo il contenuto del criterio direttivo dalla norma delegata, quando il problema e' se la norma delegata abbia rispettato il criterio direttivo contenuto nella legge di delega. In sostanza il principio della separazione fra organi della p.a., la cui disciplina e' riservata alla legge o in base a disposizioni di legge, e rapporto di lavoro, la cui disciplina e' rimessa alla contrattazione collettiva, non solo non e' posto dalla lett. a) del comma 1 dell'art. 2 della legge n. 421, ma assolutamente non comporta l'abrogazione di tutte le norme che prevedono la rappresentanza del personale negli organismi collegiali. 7. - Alla luce delle brevi considerazioni che precedono non sembra percio' al collegio che la norma in esame possa sfuggire alla censura di incostituzionalita' per contrasto con l'art. 76 della Costituzione, avendo legiferato in materia (consigli di amministrazione degli enti pubblici) non contemplata nella legge di delega ed esercitando il potere delegato di previsione di nuove forme di rappresentanza del personale ai fini dell'organizzazione del lavoro in modo non conforme ai criteri di delega mediante la soppressione del preesistente regime di rappresentanza del personale senza la coeva sostituzione con forme di partecipazione del personale ai fini dell'organizzazione del lavoro, in sostituzione di quelle precedenti. Di qui la non manifesta infondatezza della questione di costituzionalita' per eccesso di delega legislativa.