IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
   Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso n. 810/94 proposto
 dai signori rag. Amedeo Calcarami e avv. Aniello Rizzo, rappresentati
 e  difesi  dall'avv. Gaetano Lepore presso il quale son elettivamente
 domiciliati  in  Roma,  via  Cassiodoro  n.  14;  contro   l'Istituto
 nazionale  di  previdenza  per  i  dirigenti di azienda industriali -
 I.N.P.D.A.I.,  in  persona  del  legale  rappresentante   pro-tempore
 rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  dell'ente  avv. Luciano Di
 Pasquale e Mario Capaccioli, elettivamente domiciliato in Roma, viale
 delle Province n. 196; e il Ministero del lavoro e  della  previdenza
 sociale,  in persona del Ministro pro-tempore, rappresentato e difeso
 dall'Avvocatura generale dello Stato in Roma, via dei  Portoghesi  n.
 12;  con  l'intervento ad adiuvandum dei sigg. Maria Chiara Bartalini
 ed altri (Marcello Vani,  Edoardo  Carmignani,  Mirella  Mestichella,
 Adriana Ripoli, Marianna Viola, Maria Piccinni, Daniela Nardi, Cesare
 Tabacco,  Claudio  Martinoli,  Bruno Giampa, Alessandro Furlani, Rosa
 Ansuinelli, A. Maria Gargiulo, Giulio Ercolani,  Patrizia  Farinelli,
 Fiorella  Galli,  M.  Teresa  Olivari, Lina Baldasarre, Alba Sabetta,
 Domenica Castelli, Giordana Laurenti, Angela Angeli, Giulina Cilenti,
 Francesco Montella, Angela Sorino,  Riccardo  Brardinoni,  Giuseppina
 Tirrito,  Clara Rondinelli, Rosanna Mancurti, Cinzia Bensaja, Silvana
 Rossi, Venera Maiorana, Marisa Iacopino,  Fabrizio  Cadamuro,  Biagio
 Galluzzo,  Stefania  Grella,  Flavia  Marino, Salvatore Ragusa, Carlo
 Molaro,  Simonetta  Bruno,  Liliana  Spada,  Fabio   Savoi,   Camillo
 Esposito,  Giancarlo  Esuperanzi,  Mario  Del  Tredici, Carlo Raiata,
 Marcello Mazzilli, Claudio  Candido,  Elio  Iaccino,  Roberto  Centi,
 Gualtiero  Sale, Gianfranco Rossi, Catia Giaccaglini, Pierluca Nanni,
 Cinzia  Gentili,  Laura  Bettini,  Luciano  S.  della  Marra, Stefano
 Albrizio,  Maurizio  Pinaglia,  Alberto  Della  Giovampaola,  Stefano
 Amorese,  Ettore  Morgia,  Adriano  Boschi,  G.  Paolo  Ottavi, Mario
 Russino,  G.  Paolo  Biagini,  Giancarlo  Gengaroli,   Maria   Grazia
 Rechichi,   Luciana   Di   Carlo,  Palmira  Taddei,  Vincenzo  Lucci,
 Alessandra Tabbi, Annalisa Terzi, Carla Pancrazi, Anna Maria Fanelli,
 Claudia Lucci, Daniela  Mazzacori,  Palmira  Mecenate,  Bruno  Bruna,
 Augusta  Coletta,  Simona  Gallo,  Letizia  Mirabile, Paola Borrelli,
 Daniela De Sanctis, Giuseppina  Manca,  Ada  Zippi,  Luciana  Linari,
 Maria  Olivieri,  Marina  Trasi, Marina Stampanoni, Claudio Barpiero,
 Ester Cressa, Daniela Finotti, Stefania Ciofi, Valter  Villani,  Anna
 Giuliattini,  Daniela  Rosci, Alfredo Pulizo, Fabio Ilardi, Gianpaolo
 Biagini, Bruno  Bini,  Barbara  Manzi,  Francesca  Cagnali,  M.  Rita
 Bellabarba,  Mario  Santoro,  Natale  Scaturchio,  Domenico  Bavetta,
 Elisabetta Maria Garan, Antonio  Pietropaoli,  Michele  Aquili,  Enzo
 Altieri,  Lorenzo Ferrari, Antonia Pelella, Paola Tadioli, Gino Coia,
 Maria Teresa Leoni, Fabrizio Lucchetta, Antonella Cesaretti, Patrizia
 Conidi, Francesco D'Addio,  Marcello  Tucci,  Annamaria  Campovecchi,
 Paola   Pace,   Marisa   Montanari,  Marisa  Corsetti,  Maria  Luigia
 Gasparella, Aurora  Coppola,  Maria  Venturini,  M.  Teresa  Salvati,
 Matilde  Anastasi,  Mirella  Graziani,  Paola  D'Aguanno,  Antonietta
 Montebello, Giusto  Ginotti,  Rosa  Viscuso,  Antonietta  Robustelli,
 Filippo  Brunelli,  Anna  M.  Donati,  Gabriella  Camacci, Alessandro
 Pulcini, Anna Maria  Ciaralli,  Antonella  Ferrante,  Carlo  Zuccani,
 Gustavo  Martinelli, Manuela Consolini, Anna Pia Avancini, Elisabetta
 Defenu, Carla Turco, Leda Quirini, Rita Di  Braccio,  Franca  Saliva,
 Marinella  Preciuti,  Monica  Nepi,  Elena  Severino,  Andreina Leli,
 Donatella De' Liguoro, Alberto  Felicetti,  Nunzio  Izzo,  Gianfranco
 Barbaria,  Vincenzo  Vecchioni,  Francesco  Rosci, Fedora Mari, Carla
 Bartoccini, Maria G. Noviello, M. Rita Fontana,  Marcella  Biscarini,
 M.  Pia Cascino, Laura Moriniello, Rosanna De Luca, Carmine Piccinni,
 Anna Rita Carroccia,  Roberta  Alcisi,  Antonella  Montani,  Annalisa
 Virgilio,  Patrizia  Palmiotti,  Andrea  Danza,  Walter  Rossi,  Rita
 Certel, Marialuisa Duchi, Patrizia Giaccaro, Anna Zoconeddu,  Rossana
 Damizia,  Maria  Mura,  Paola Verri, Germana Vecchiarelli, Alessandro
 Incitti, Eleonora Lena, Adalberto Paparoni, Stefania Venditti,  Paola
 Radion,  Stefano  Gucciardo, Laura Regazzini, Nicoletta Zocca, Franca
 Colasanti,  Daniela  Rettagliati,  Maria  Pia  Casamassima,   Alberto
 Piperno,  Maurizio  La  Volpe,  Simonetta Bruno, M. Rosaria Federici,
 Giorgio  Roscigno,  Antonio  Palmentieri,  Monica  Donzelli,  Silvana
 Cipriani,  Lucia Ciccariello, M. Grazia Di Nino, Patrizia Acqualagna,
 Claudio  Filippi,  Carla   De   Santis,   Angela   Avolio,   Stefania
 Vinciguerra,  Laura  Moscardi,  Laura Conti, Margherita Chichi, Maria
 Barresi, Daniela Morelli, Linda  Reda,  Giustina  Cervone,  Antonella
 Castellani,  Caterina  Manni, Franca Zinicola, Donatella Giannangeli,
 Carlo Giamomini, Rita Paolucci, Anna Maria Danti,  Anna  Lama,  Paola
 Pianeselli,  Livia  Piergiovanni,  Angelo Angelino, Massimo Mazzanti,
 Mauro Scernato,  Livia  Napolitano,  Simonetta  Pini,  Bruno  Paella,
 Giorgia  Catola,  Danilo  Russolillo,  Enrica  Chiucchi,  Paola Trio,
 Nicoletta Mariani, Giuseppe Crucitti, Alba Simotti, Caterina Lamarra,
 Antonino Saccone, Agata Panebianco, Luigi Palazzini, Carla  Esposito,
 Silvia  Fenocchio, Marco Ciavatta, Annamaria Ciani, Riccardo Scalero,
 Argentina Giachetti, Pietro Rivellini, Claudia Taccia, Amalia  Leddi,
 Donatella  Antonelli,  Fabiana  Romei, Alessandra Pepoli, Anna Lanza,
 Lucia  Grifoni,  Patrizia  Vaccaro, Patrizia Brunetti, Enzo Pacifici,
 Mirella Bolla,  Maura  Felici,  Marina  Petrini,  Daniela  Parlatore,
 Alberta  Spiccia (illeggibile), Cristina Barbaliscia, Salvatore Santo
 Girlando,  Nadia  Antonini,  Michela  Marturano)  nelle  qualita'  di
 elettori    dei    ricorrenti   nel   consiglio   di   amministrazine
 dell'I.N.P.D.A.I., rappresentati e difesi dall'avv. Dino  Dei  Rossi,
 elettivamente  domiciliati  in  Roma, via Giuseppe Gioachino Belli n.
 36; per l'annullamento del decreto del 14 dicembre 1993 con il  quale
 il Ministro del lavoro "viste le disposizioni dell'art. 16 del d.lgs.
 10  novembre  1993  n. 470 .." ha disposto, con effetto dalla data di
 entrata in vigore del predetto decreto legislativo, che del consiglio
 di amministrazione dell'INPDAI ricostituito con decreto  ministeriale
 16  novembre  1993,  non  facciano  piu'  parte in rappresentanza del
 personale il sig. Amedeo Calcarami e l'avv. Aniello Izzo  e  di  ogni
 altro  atto  presupposto  connesso e consequenziale ed in particolare
 della nota n. 1/3PS/22848/16/I/II del 17 dicembre 1993;
    Visto il ricorso con i relativi allegati;
    Visto l'atto  di  costituzione  in  giudizio  dell'amministrazione
 intimata;
    Viste  le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive
 difese;
    Relatore alla pubblica udienza del 15 giugno 1994  il  consigliere
 Francesco  Brandileone;  uditi  l'avv.    . . . . . . . . . .  per il
 ricorrente e l'avv. dello Stato . . . . . .  .  .  .  .  .  .  .  per
 l'amministrazione resistente;
    Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.
                               F A T T O
    Con  il  ricorso  in  esame  i  nominati  in epigrafe impugnano il
 decreto del 14 dicembre 1993 con il  quale  il  Ministro  del  lavoro
 "viste  le  disposizioni dell'art. 16 del d.lgs. 10 novembre 1993, n.
 470 .." ha disposto, con effetto dalla data di entrata in vigore  del
 predetto  decreto  legislativo,  che del consiglio di amministrazione
 dell'INPDAI ricostituito con decreto ministeriale 16  novembre  1993,
 non  facciano  piu'  parte  in  rappresentanza  del personale il sig.
 Amedeo Calcarami e l'avv. Aniello Izzo.
    Deducono i seguenti motivi:
    I. - Violazione dell'art. 16 del decreto legislativo  10  novembre
 1993,  n.  470,  modificativo dell'art. 48 del decreto legislativo n.
 29/1993.
   Il d.m. 14 dicembre 1993 e' stato assunto  in  violazione  o  falsa
 applicazione   dell'art.   16  del  d.lgs.n.  470/93  -  modificativo
 dell'art. 48 del d.lgs. n. 29/1993 ed entrato in vigore il 9 dicembre
 1993 - in quanto ha dichiarato i due ricorrenti decaduti dallo status
 di consiglieri di amministrazione, mentre l'effetto abrogativo voluto
 dalla  norma   del   decreto   delegato   deve   ritenersi   -   pena
 l'illegittimita'  costituzionale  della norma medesima - differita al
 momento in  cui  la  contrattazione  collettiva  avra'  concretamente
 introdotto   (nuove)   "forme   e  procedure  di  partecipazione  che
 sostituiranno commissioni del  personale  ed  organismi  di  gestione
 comunque denominati".
    II.  -  In  linea  subordinata illegittimita' costituzionale dello
 stesso per contrasto con l'art. 76 della Costituzione.
    In  ogni  caso  l'impugnato d.m. 4 dicembre 1993 e' illegittimo in
 via  derivata  a  causa   dell'illegittimita'   costituzionale,   per
 contrasto  con  l'art. 76 della Costituzione, dell'art. 48 del d.lgs.
 n. 29/1993, come novellato dall'art. 16 del d.lgs. n. 470/1993.
    Ed infatti il Governo, nell'emanare la norma de qua, ha certamente
 ecceduto i limiti della delega ad esso conferita dall'art.  2,  comma
 1,  lettera  a), che lo autorizzava soltanto a "prevedere nuove forme
 di  partecipazione  delle  rappresentanze  del  personale   ai   fini
 dell'organizzazione  del lavoro delle amministrazioni" e non anche ad
 incidere  sulle  norme  che   prevedono   la   partecipazione   delle
 rappresentanze  del  personale  in seno agli organi deliberanti degli
 enti, partecipazione che realizza una forma di controllo - interno  e
 preventivo  -  in  senso lato, delle decisioni adottande da parte dei
 massimi organi direttivi.
   III. - In linea  subordinata  illegittimita'  costituzionale  dello
 stesso per contrasto con gli artt. 3 e 97 della Costituzione.
    Ulteriore  profilo  di illegittimita' costituzionale e' rilevabile
 dal comma 1-bis  dell'art.  48  del  d.lgs.  n.  29/1993,  nel  testo
 novellato dall'art. 16 del d.lgs. n. 470/1993, introdotto per effetto
 del  d.-l.  n.  530/1993  (in  Gazzetta  Ufficiale s.g. n. 299 del 22
 dicembre ed entrato in vigore il giorno successivo).  Ed  infatti  il
 secondo   periodo  di  tale  comma  pone  una  norma  transitoria  di
 salvaguardia  limitandola,  in  palese  spregio  del   principio   di
 ragionevolezza  e  di eguaglianza ed in violazione dell'art. 79 della
 Costituzione,  all'ambito  delle  rappresentanze  del  personale  nei
 consiglio di amministrazione dell'universita'.
    Si  costituisce  in  giudizio l'amministrazione resistente che nel
 controdedurre  alle  censure  di  gravame  chiede  la  reiezione  del
 ricorso.
                             D I R I T T O
    1.  -  Con  il ricorso in esame parte ricorrente pone due distinte
 questioni in ordine all'art. 16 del d.lgs.  10 novembre 1993, n. 470,
 modificativo dell'art. 48 del d.lgs. n.  29/1993:
      l'una concernente la inapplicabilita'  di  tale  norma  delegata
 agli   organi   statutari  dell'INPDAI  nella  parte  riguardante  la
 cessazione dell'efficacia  delle  rappresentanze  del  personale  nel
 consiglio di amministrazione;
      l'altra    riguardante    l'illegittimita'   in   via   derivata
 dell'impugnato d.m.  4  dicembre  1993  a  causa  dell'illegittimita'
 costituzionale,  per  contrasto  con  l'art.  76  della Costituzione,
 dell'art. 48 del d.lgs. n. 29/1993, come novellato dall'art.  16  del
 d.lgs.  n.  470/1993,  dato  che il Governo, nell'emanare la norma de
 qua, avrebbe certamente  ecceduto  i  limiti  della  delega  ad  esso
 conferita  dall'art.  2,  comma  1,  lettera  a),  che lo autorizzava
 soltanto  a  "prevedere   nuove   forme   di   partecipazione   delle
 rappresentanze  del  personale ai fini dell'organizzazione del lavoro
 delle amministrazioni" e non anche ad:
        a) incidere sulle norme che prevedono la partecipazione  delle
 rappresentanze  del  personale  in seno agli organi deliberanti degli
 enti pubblici, legiferando in materia  (consigli  di  amministrazione
 degli enti pubblici) non contemplata nella legge di delega;
        b)  sopprimere  il  preesistente  regime di rappresentanza del
 personale senza la coeva sostituzione con forme di partecipazione del
 personale ai fini dell'organizzazione del lavoro, in sostituzione  di
 quelle precedenti.
    2.  - La prima questione e' stata decisa dal collegio con separata
 sentenza, che al riguardo ha  rilevato  che  la  richiesta  di  parte
 ricorrente  non  puo',  allo stato della legislazione, essere accolta
 data l'applicabilita' alla specie dell'art. 48 del d.lgs. n. 29/1993,
 come novellato dall'art. 16 del d.lgs. n. 470/1993, mentre la seconda
 forma oggetto della presente ordinanza.
    3.   -   Si   appalesa   rilevante   quindi   la   questione   cd.
 costituzionalita'  dell'art.  16 del d.lgs. 10 novembre 1993, n. 470,
 modificativo dell'art. 48 del d.lgs. n. 29/1993,  per  contrasto  con
 l'art.  76  della  Costituzione, dato che l'impugnato d.m. 4 dicembre
 1993 e' stato adottato in attuazione di tale norma delegata.
    Ed invero non  puo'  dubitarsi  della  rilevanza  della  questione
 giacche'  solo  nell'ipotesi  di  un'eventuale  pronuncia della Corte
 costituzionale dichiarativa dell'illegittimita' costituzionale  della
 censurata   norma,   l'atto  applicativo  impugnato  potrebbe  essere
 annullato per illegittimita' derivata e la domanda accolta.
    4. - Ritiene opportuno il collegio evidenziare il quadro normativo
 entro cui  si  muove  la  censurata  norma  delegata  (art.  48)  per
 affrontare  ed  esaminare  la  dedotta questione di costituzionalita'
 dell'art. 16 del d.lgs.   10  novembre  1993,  n.  470,  modificativo
 dell'art. 48 del d.lgs. n.  29/1993.
    5.  -  Con  legge  23  ottobre  1992,  n.  421 il Governo e' stato
 delegato ad emanare uno o piu' decreti legislativi  nel  settore  del
 pubblico   impiego   diretti   al   contenimento   della   spesa,  al
 miglioramento dell'efficienza ed alla  riorganizzazione,  fissando  i
 criteri e finalita' ben precise.
    L'art.  2,  primo  comma, lett. a), indirizza l'azione legislativa
 del  Governo  alla  privatizzazione  del  rapporto  di   lavoro   dei
 dipendenti  delle amministrazioni statali e degli altri enti pubblici
 e  alla  previsione  di  "nuove   forme   di   partecipazione   delle
 rappresentanze  del  personale ai fini dell'organizzazione del lavoro
 nelle amministrazioni".
    Con l'art. 48 del d.lgs. n. 29 del 3 febbraio 1993, in  attuazione
 del  principio  fissato nella seconda parte dell'art. 2, primo comma,
 lett. a), della legge  23  ottobre  1992,  n.  421,  il  Governo  nel
 precisare  che  la contrattazione collettiva definisce nuove forme di
 partecipazione delle  rappresentanze  del  personale  ai  fini  della
 organizzazione   del   lavoro  nelle  amministrazioni  pubbliche,  ha
 abrogato le  norme  che  prevedono  la  rappresentanza  elettiva  del
 personale  nei  consigli  di  amministrazione  delle  amministrazioni
 statali anche ad ordinamento autonomo.
   Con l'art. 16 del d.lgs. 10 novembre 1993, n. 470,  l'art.  48  del
 d.lgs.  3  febbraio  1993,  n.  29, e' stato modificato, disponendosi
 l'abrogazione delle norme che prevedono forme di rappresentanza anche
 elettiva del personale nei consigli di amministrazione  di  tutte  le
 amministrazioni  pubbliche  indicate al secondo comma dell'art. 1 del
 decreto legislativo n. 29/1993 e  che,  in  attuazione  dell'art.  2,
 primo  comma,  lett.  a),  della  legge  23  ottobre 1992, n. 421, la
 contrattazione collettiva definisca  nuove  forme  di  partecipazione
 delle  rappresentanze  del  personale ai fini dell'organizzazione del
 lavoro. L'ultima parte  dell'art.  48,  modificato,  precisa  che  la
 contrattazione  collettiva  nazionale indichera' forme e procedure di
 partecipazione  che  sostituiranno  commissioni   del   personale   e
 organismi di gestione, comunque denominati.
    Se  si  esamina  la  fonte delegante e cioe' il punto a) del primo
 comma dell'art. 2 della legge n. 421 del 23 ottobre 1992 si  realizza
 che  il Governo, oltre a dover privatizzare il rapporto di lavoro dei
 pubblici dipendenti, prevedendo una disciplina transitoria, idonea ad
 assicurare la graduale sostituzione del regime attualmente in  vigore
 nel  settore  pubblico con quello privatistico, deve prevedere "nuove
 forme di partecipazione delle rappresentanze del  personale  ai  fini
 dell'organizzazione del lavoro".
    La  norma contenuta nell'art. 48, come modificato dall'art. 16 del
 decreto  legislativo  n.  470/1993,  e'  stata  emanata  allo   scopo
 dichiarato  di  dare  attuazione  al  principio  e criterio direttivo
 fissato dalla lett. a) dell'art. 2, comma 1, della legge n. 421/1992.
    Orbene,  l'art.   48,   come   modificato,   stabilisce   che   la
 contrattazione   collettiva   nazionale   definisce  nuove  forme  di
 partecipazione delle "rappresentanze  del  personale  ai  fini  della
 organizzazione del lavoro ..".
    La  terza  parte  dell'art.  48  stabilisce che "la contrattazione
 collettiva nazionale indichera' forme e procedure  di  partecipazione
 che  sostituiranno commissioni del personale e organismi di gestione,
 comunque denominati".
    Le  due  disposizioni  sono  programmatiche,  nulla,  allo  stato,
 innovando in materia.
    Il  secondo  periodo  dell'art.  48, invece, dispone l'abrogazione
 delle "norme  che  prevedono  ogni  forma  di  rappresentanza,  anche
 elettiva,  del  personale  nei  consigli  di amministrazione, nonche'
 nelle commissioni di concorso".
    5. - Tale ultima disposizione  e'  decisamente  fuori  dall'ambito
 della  delega  legislativa  e  del  principio direttivo fissato dalla
 lett. a) del comma 1 dell'art. 2 della legge n. 421  del  23  ottobre
 1992.
    Infatti la legge delega il Governo a perseguire tre obiettivi:
      I)  la  privatizzazione  del  rapporto di impiego dei dipendenti
 pubblici con riconduzione sotto la disciplina del  diritto  civile  e
 con regolamentazione mediante contratti individuali e collettivi;
      II)  la  sostituzione  graduale del regime attualmente in vigore
 nel settore pubblico a quello privatistico;
      III) l'introduzione  di  nuove  forme  di  partecipazione  delle
 rappresentanze  del  personale ai fini dell'organizzazione del lavoro
 nelle amministrazioni.
    E' di tutta evidenza che il legislatore delegato nell'abrogare  le
 norme  che  prevedono  rappresentanze  del  personale nei consigli di
 amministrazione degli enti pubblici ha ecceduto  dalla  delega  sotto
 due profili.
    5.1.  -  In  primo  luogo perche' la cosiddetta rappresentanza del
 personale   nei   consigli   di   amministrazione   e'    fattispecie
 completamente  diversa  da  quella prevista dalla legge delega, cioe'
 dalla partecipazione delle  "rappresentanze  del  personale  ai  fini
 dell'organizzazione del lavoro ..".
    Certamente  non  puo'  parlarsi di rappresentanza del personale ai
 fini dell'organizzazione del lavoro per quanto riguarda i  componenti
 dei   consigli  di  ammnistrazione  degli  enti  pubblici,  designati
 elettivamente  o  meno  dal  personale,   essendo   i   consigli   di
 amministrazione organi di gestione generale dell'ente e non organismi
 con competenza limitata alla materia della organizzazione del lavoro.
    La  rappresentanza  del  personale nei consigli di amministrazione
 degli enti pubblici, infatti, a  differenza  di  quelle  nel  settore
 delle    amministrazioni    dello   Stato   afferisce   al   fenomeno
 organizzatorio statutario ed istituzionale dell'ente medesimo  (detto
 organo   collegiale,   infatti,  e'  tipicamente  organo  di  governo
 dell'ente in quanto esercita tutti i poteri di gestione, determinando
 le direttive tecniche, approvando i bilanci, il regolamento  organico
 del  personale,  il  regolamento  amministrativo-contabile,  il piano
 annuale degli  impieghi  delle  somme  eccedenti  la  liquidita',  di
 gestione,  l'acquisto di beni immobili ecc.); tale rappresentanza non
 e' pertanto prevista ne' finalizzata "ai fini dell'organizzazione del
 lavoro" dell'ente pubblico stesso ma esclusivamente  in  funzione  di
 controllo in senso lato quale componente di minoranza, espressiva del
 principio,  insito  nel  nostro ordinamento, della ponderazione della
 molteplicita'  degli  interessi  sia  essi  primari   che   secondari
 nell'esplicazione dell'attivita' istituzionale.
    Il  legislatore  delegante se avesse voluto autorizzare il Governo
 ad  eliminare  le  norme  organizzatorie  istituzionali  degli   enti
 pubblici  che  prevedono  tale forma di partecipazione in funzione di
 controllo non avrebbe usato  l'espressione,  contenuta  nel  criterio
 direttivo e delimitativo del potere normativo delegato nuove forme di
 "partecipazione  del  personale  ai  fini  della  organizzazione  del
 lavoro";  il  che  sta  ad  indicare   in   maniera   inequivoca   la
 delimitazione  dell'ambito dell'intervento del Governo esclusivamente
 a quegli organismi aventi competenza limitata alla organizzazione del
 lavoro cioe' a quella materia che nel rapporto di lavoro  privato  e'
 oggetto di contrattazione nazionale, di settore ed aziendale.
    5.2.  -  In secondo luogo perche', anche ammesso che nell'istituto
 della partecipazione del personale ai  fini  dell'organizzazione  del
 lavoro possa ricomprendersi anche la rappresentanza del personale nei
 consigli  di  amministrazione, il Governo era autorizzato a prevedere
 nuove forme, in sostituzione di quelle precedenti e certamente non ad
 abrogare sic et simpliciter la normativa in vigore, con  rinvio  alla
 contrattazione collettiva.
    E'  fuor  di  luogo,  infatti,  che,  per  principi  e statuizioni
 costituzionali (art. 76), l'esercizio del potere legislativo da parte
 del Governo mediante la  decretazione  legislativa  deve  muoversi  a
 svilupparsi  entro  i  limiti ed in conformita' dei criteri direttivi
 stabiliti, con la legge di delega, dal Parlamento, al  quale  compete
 in  via  naturale  la  produzione normativa primaria. Con la legge di
 delega, in sotanza, ha luogo il conferimento  -  per  un  periodo  di
 tempo  limitato  e  con  riferimento  ad una materia legislativamente
 delimitata e circoscritta  dai  criteri  direttivi  di  delega  -  al
 Governo da parte del Parlamento della potesta' legislativa primaria.
    La  legge  di delega, in sostanza, costituisce l'investitura dello
 spostamento, sia pur temporaneo e  per  materia  circoscritta,  della
 potesta'  legislativa  dall'organo  naturale  (Parlamento) all'organo
 eccezionale (Governo). Quale atto  di  investitura  ad  altro  organo
 dell'esecizio  del  potere  legislativo, la legge di delega, non puo'
 non conferire se non in via  espressa,  circostanziata  e  delimitata
 detto potere normativo: potere che deve espressamente e letteralmente
 ricavarsi   dall'atto  delegante,  non  potendo  concepirsi,  per  il
 principio costituzionale della  divisione  dei  poteri  degli  organi
 costituzionali    cosi'   come   disciplinato   dalla   Costituzione,
 l'evenienza di poteri c.d. impliciti  di  delega,  cioe'  sottostanti
 l'atto  delegante,  non espressamente enunciati e conferiti nell'atto
 di  delega  ma  desumibili  in  via  di  interpretazione  sistematica
 dall'ordinamento  giuridico.  Se  cosi' fosse si protrebbe verificare
 l'evenienza  di   una   delega   a   contenuto   indeterminato,   che
 comporterebbe   l'esautorazione  del  Parlamento,  impossibilitato  a
 valutare il grado e la  portata  della  delega  legislativa  da  esso
 stesso conferita all'esecutivo.
    Da  cio' consegue che se e' forse ammissibile e costituzionalmente
 corretto concepire  nell'ambito  del  potere  normativo  delegato  al
 Governo   la   possibilita'  dell'esercizio  di  "poteri  strumentali
 impliciti" nella delega, finalizzati alla  realizzazione  del  potere
 normativo  di base delegato al Governo (ed es. nell'ipotesi di delega
 alla soppressione con decreto delegato di enti  pubblici,  il  potere
 soppressorio  dell'ente  pubblico presuppone per la sua realizzazione
 anche il potere "strumentale" di dettare la  disciplina  liquidatoria
 delle  attivita'  e  passivita'  dell'ente),  una tale evenienza deve
 necessariamente escludersi nell'ipotesi in cui il  potere  implicito,
 desumibile  in  via  interpretativa,  assurga  a  rango di autonomo e
 distinto potere normativo delegato non strumentale rispetto a  quello
 conferito  dal  Parlamento  al Governo, a cio' ostando il disposto di
 cui all'art. 76 della Costituzione.
    Da cio' consegue che al Governo, con la delega di cui all'art.  2,
 primo  comma,  lett.  a),  della  legge n. 421 del 23 ottobre 1992 e'
 stato attribuito il potere di prevedere nuove forme, in  sostituzione
 di   quelle  precedenti  di  partecipazione  del  personale  ai  fini
 dell'organizzazione del lavoro e certamente non ad  abrogare  sic  et
 simpliciter  la  normativa  in vigore, con rinvio alla contrattazione
 collettiva.
    In sostanza la legge  delegata  non  poteva  limitarsi  alla  sola
 abrogazione  immediata  delle  norme  in  materia, dato che il potere
 soppressorio e' concepibile solamente come strumentale e  conseguente
 al potere normativo delegato di base, consistente nell'istituzione di
 nuove    forme    di    rappresentanza    del   personale   ai   fini
 dell'organizzazione del lavoro.
    D'altra parte il potere  delegato  di  prevedere  nuove  forme  di
 partecipazione  del personale ai fini dell'orgazizzazione del lavoro,
 implica senz'alcun dubbio la possibilita'  dell'esercizio  anche  del
 potere strumentale soppressorio delle vecchie e preesistenti forme di
 partecipazione    del    personale   ma   secondo   uno   schema   di
 conseguenzialita' necessaria e contestuale nel senso  che  il  potere
 delegato  di previsione di nuove rappresentanze del personale implica
 ex se' il contestuale esercizio del potere soppressorio delle vecchie
 rappresentanze in sostituzione delle nuove; ma allorquando come nella
 specie la norma delegata (art. 48) provvede recta via alla  immediata
 soppressione  delle  vecchie  rappresentanze  senza  la previsione od
 istituzione delle nuove  forme  di  rappresentanza  per  effetto  del
 rinvio alla contrattazione collettiva, il potere soppressorio assurge
 a  rango  di  autonomo,  distinto  e  diverso potere ripetto a quello
 delegato dal Parlamento al Governo e  ci  si  trova  di  fronte  alla
 violazione del precetto contenuto nell'art. 76 della Costituzione.
    Il  legislatore  delegato,  nell'autorizzare il Govemo a prevedere
 nuove forme di partecipazione, ha richiesto l'emanazione da parte del
 Governo  di  norme  che,  abrogando   le   previgenti,   prevedessero
 contestualmente nuove forme di partecipazione.
    Il  Governo, invece, ha abrogato le norme sulla rappresentanza del
 personale ed ha demandato alla  contrattazione  collettiva  la  nuova
 disciplina    della    partecipazione    del    personale   ai   fini
 dell'organizzazione del lavoro.
    La verita' e' che l'art.  16  del  decreto  n.  470  del  1993  ha
 introdotto  una  disposizione  abrogativa  di  norme disciplinanti la
 materia   della   rappresentanza   del   personale,   senza   neanche
 condizionare  l'effetto  abrogante  alla  futura  nuova  normativa di
 carattere collettivo.
    Il legislatore  delegato,  quindi,  mentre  si  e'  conformato  al
 criterio  fissato  dal  legislatore delegante, lasciando in essere le
 commissioni del personale e rimettendo alla contrattazione collettiva
 la loro sostituzione con nuove forme e  procedure  di  partecipazione
 del  personale all'organizzazione del lavoro, ha invece, senza averne
 il potere, travalicando l'ambito della delega, abrogato  con  effetto
 immediato,  senza  peraltro  dettare  alcuna  norma  transitoria,  le
 disposizioni legislative e  regolamentari,  che  prevedono  forme  di
 rappresentanze del personale nei consigli di amministrazione.
    Conseguentemente   la  disposizione  contenuta  nell'art.  48  del
 decreto n. 29, come modificato  dall'art.  16  del  decreto  n.  470,
 appare  inficiata  di  illegittimita'  costituzionale  per violazione
 dell'art. 76 della Costituzione  nella  parte  in  cui,  in  presunta
 attuazione del principio fissato nella lett. a) del comma 1 dell'art.
 2  della legge n. 421 del 1992, ha disposto l'abrogazione delle norme
 che  prevedono  ogni  forma  di  rappresentanza  anche  elettiva  del
 personale  nei  consigli  di  amministrazione  delle  amministrazioni
 pubbliche di cui  all'art.  1,  comma  2,  dello  stesso  decreto  n.
 29/1993.
    6.  - L'Avvocatura dello Stato, traendo spunto dai pareri espressi
 dal  Consiglio  di  Stato  (pareri  del   Consiglio   di   Stato   n.
 645.15631/1993 e 70/1993 divulgati dalla Presidenza del Consiglio dei
 Ministri  con  circolare 26958/1994 del 26 gennaio 1994) controdeduce
 che il potere delegato sarebbe  stato  legittimamente  esercitato  in
 quanto:
       a)  l'art.  2  della  legge  n.  421/1992 pone come principio e
 criterio direttivo la separazione tra organizzazione degli uffici  ed
 organi    della    p.a.   e   disciplina   del   rapporto,   compresa
 l'organizzazione del lavoro, demandando la  prima  alla  legge  e  la
 seconda alla contrattazione collettiva;
       b)  con l'abrogazione delle norme sulla rappresentanza elettiva
 del personale nei consigli di amministrazione il legislatore delegato
 avrebbe   dato   attuazione   al   principio   di   separazione   fra
 organizzazione  dei  pubblici  uffici  e  disciplina  del rapporto di
 lavoro, interpretato anche come principio che pone il  divieto  della
 cogestione della p.a.
    L'iter  argomentativo  sintetizzato  alle  lettere  a)  e  b)  non
 appaiono convincenti.
    Si deve  in  primo  luogo  rilevare  che  l'art.  48  del  decreto
 legislativo  n.  29/1993, come si legge nella sua prima proposizione,
 e' posto in essere "in attuazione dell'art. 2,  comma  1,  lett.  a),
 della legge 23 ottobre 1992, n. 421".
    Anche  se  al  limite  puo' convenirsi che l'art. 2 della legge n.
 421/1992 nel suo complesso fissi  il  principio  di  distinzione  fra
 disciplina  per  legge o in base alla legge dell'organizzazione degli
 uffici  e  disciplina  privatistica  del   rapporto   di   lavoro   e
 dell'organizzazione  del lavoro, non si vede come da tale distinzione
 si possa far discendere il principio  della  separazione  tra  organi
 della  p.a.  e  rappresentanze  del personale e quindi del divieto di
 cogestione della p.a.
    E' incontestabile che l'art. 48 del decreto n.  29/1993  e'  stato
 emanato  per  dare  attuazione al criterio fissato dalla lett. a) del
 primo   comma   dell'art.   2   che   attiene   esclusivamente   alla
 privatizzazione del rapporto di lavoro dei pubblici dipendenti.
    Conseguentemente il criterio direttivo per il legislatore delegato
 deve  trarsi  solo dalla lett. a) del comma 1 e non anche dalla lett.
 b) e dalla lett. c) del comma 1.
    D'altra parte l'affermazione secondo la  quale  con  l'abrogazione
 delle  norme sulla rappresentanza elettiva del personale nei consigli
 di amministrazione il legislatore delegato avrebbe dato attuazione al
 principio di separazione fra organizzazione  dei  pubblici  uffici  e
 disciplina  del rapporto di lavoro, interpretato anche come principio
 che  pone  il  divieto  della  cogestione  della  p.a.,  non   appare
 convincente, non soltanto perche' il divieto di cogestione della p.a.
 non  e'  contenuto  nel criterio direttivo specifico, ma anche per il
 fatto che l'abrogazione di norme di legge ad  opera  del  legislatore
 delegato  deve trovare precisa e puntuale legittimazione nel criterio
 direttivo della legge di delega.
    Orbene la lett. a)  dell'art.  2  della  legge  non  contiene  una
 disposizione  che  legittimi  il  Governo  ad abrogare le norme sulla
 rappresentanza del personale nei consigli di amministrazione.
    Ne'  tale  legittimazione  puo'  farsi  discendere  dal   principo
 organizzativo  in  precedenza  indicato,  non  essendo tale principio
 posto dalla  lett.  a)  del  primo  comma  dell'art.  2  della  legge
 delegante.
    D'altra  parte  il  principio  concernente  la  eliminazione della
 cogestione e' enucleato  dall'amministrazione  resistente  non  tanto
 dalla  legge di delega ma dallo stesso art. 48 ed in ogni caso da una
 constatazione   inininfluente   e   cioe'   dalla   distinzione   fra
 organizzazione  dei  pubblici  uffici  e  disciplina  del rapporto di
 lavoro.
    Tale  distinzione,  che  peraltro   esiste   anche   nel   vigente
 ordinamento,  dovendo  l'intero  disegno  di  privatizzazione  essere
 ancora attuato non ha quella portata innovativa  che  invece  gli  si
 attribuisce   ed   in  ogni  caso  non  comporta  automaticamente  la
 separazione fra organi della p.a. e rappresentanze del personale  ne'
 tantomeno autorizza la abrogazione di norme di legge o di regolamento
 che  prevedono  la rappresentanza elettiva del personale nei consigli
 di amministrazione.
    Ne' il principio di separazione e quindi di divieto di commissione
 fra interesse della p.a. e del personale  dipendente  costituisce  la
 ratio  della legge delega, che, come e' noto, invece si e' limitata a
 fissare    il     principio     della     separazione     nell'ambito
 dell'organizzazione  dei  pubblici  poteri fra attivita' di indirizzo
 politico-amministrativo e l'attivita' di gestione amministrativa, che
 ben  puo',  coesistere  con  la  partecipazione di rappresentanze del
 personale negli organi di indirizzo politico-amministrativo.
    Ne' infine puo sostenersi, per quanto in  precedenza  evidenziato,
 che  l'abrogazione  delle  norme  sulla  rappresentanza  elettiva nei
 consigli   di   amministrazione,   disposta   dal   Govemo   potrebbe
 considersarsi  esplicazione attuativa del principio "implicito" della
 separazione fra organi della p.a. e rapporto  di  lavoro,  scaturente
 dal  contesto  intepretativo  della  legge  di  delega,  dato  che un
 siffatto opinamento  comporterebbe  un  vero  e  proprio  svuotamento
 dell'art.  76  della  Costituzione  secondo quanto gia' affrontato al
 punto 5.2.
    D'altra parte la stessa Avvocatura dello Stato ritiene che non  e'
 piu'   consentita  alcuna  forma  di  partecipazione  del  personale,
 desumendo il contenuto del criterio direttivo dalla  norma  delegata,
 quando  il  problema  e'  se  la  norma  delegata abbia rispettato il
 criterio direttivo contenuto nella legge di delega.
    In sostanza il principio della separazione fra organi della  p.a.,
 la cui disciplina e' riservata alla legge o in base a disposizioni di
 legge,  e  rapporto  di  lavoro,  la  cui  disciplina e' rimessa alla
 contrattazione collettiva, non solo non e' posto dalla lett.  a)  del
 comma 1 dell'art. 2 della legge n. 421, ma assolutamente non comporta
 l'abrogazione  di  tutte le norme che prevedono la rappresentanza del
 personale negli organismi collegiali.
    7. - Alla luce delle brevi considerazioni che precedono non sembra
 percio' al collegio che la norma in esame possa sfuggire alla censura
 di  incostituzionalita'   per   contrasto   con   l'art.   76   della
 Costituzione,    avendo    legiferato   in   materia   (consigli   di
 amministrazione degli enti pubblici) non contemplata nella  legge  di
 delega ed esercitando il potere delegato di previsione di nuove forme
 di  rappresentanza  del  personale  ai  fini  dell'organizzazione del
 lavoro in  modo  non  conforme  ai  criteri  di  delega  mediante  la
 soppressione  del preesistente regime di rappresentanza del personale
 senza la coeva sostituzione con forme di partecipazione del personale
 ai fini dell'organizzazione del lavoro,  in  sostituzione  di  quelle
 precedenti.
    Di   qui   la   non  manifesta  infondatezza  della  questione  di
 costituzionalita' per eccesso di delega legislativa.